Intrusione salina, il cambiamento climatico sta minacciando l’acqua dolce nei fiumi
L’intrusione salina, l’avanzata dell’acqua marina nei fiumi e nelle falde sotterranee, rischia di diventare un problema sempre più urgente.
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LL’acqua dolce è una risorsa sempre più vulnerabile, minacciata dall’intrusione salina: l’avanzata dell’acqua marina nei fiumi e nelle falde sotterranee. Un fenomeno accelerato dal cambiamento climatico, che potrebbe mettere a rischio entro il 2100 la disponibilità di acqua potabile, la fertilità dei terreni agricoli e la salute degli ecosistemi costieri.
Lo evidenzia uno studio internazionale pubblicato su Nature Communications, guidato dall’Università di Utrecht e dall’istituto di ricerca olandese Deltares. Analizzando 18 estuari distribuiti in tutto il mondo, i ricercatori hanno scoperto che l’intrusione salina aumenterà del 9% in media entro la fine del secolo, con eventi estremi destinati a diventare il 25% più frequenti. I dati mostrano che in alcuni casi il cuneo salino, cioè la lingua di acqua marina che risale i corsi d’acqua, potrebbe avanzare fino al 18% in più rispetto ad oggi.
Il problema nasce dall’effetto combinato di due fattori chiave: l’innalzamento del livello del mare e la diminuzione delle portate fluviali, entrambi aggravati dal cambiamento climatico. Lo studio quantifica per la prima volta il peso relativo di questi meccanismi, dimostrando che il livello del mare ha un impatto doppio rispetto al calo dei flussi fluviali nella spinta dell’intrusione salina verso l’entroterra.
“L’impatto sulla disponibilità di acqua dolce, sulla salute, sulla resa agricola e sulla qualità della vita nelle regioni costiere può essere significativo e coinvolgere milioni di persone“, spiega Henk Dijkstra, professore di Fisica climatica all’Università di Utrecht e tra gli autori della ricerca. Dijkstra collabora anche con l’Università di Trento, dove si studiano le dinamiche idrologiche del Lago di Garda in relazione al riscaldamento globale.

La salinizzazione delle acque dolci rappresenta una minaccia concreta, come dimostrano casi recenti: nel 2023, la siccità estrema ha costretto New Orleans a costruire barriere d’emergenza per proteggere le riserve idriche dall’acqua marina, mentre in Olanda, nell’estate del 2018, il cloruro ha superato i limiti di legge per 75 giorni consecutivi nei principali rami del delta Reno-Mosa.
Situazioni simili si registrano anche in Italia. Nel 2022, durante la peggiore fase della siccità che ha colpito il Paese tra il 2021 e il 2023, il cuneo salino del fiume Po ha risalito l’alveo fino a 40 chilometri dalla foce, compromettendo l’irrigazione agricola e la disponibilità di acqua potabile nelle zone limitrofe.
Intrusione salina: una sfida per la sicurezza idrica e alimentare
L’intrusione salina ha impatti profondi su diversi settori. Quando l’acqua salata risale nei fiumi o penetra nelle falde, può contaminare le fonti idriche potabili, danneggiare le colture non tolleranti al sale e alterare l’equilibrio degli ecosistemi. Nei delta e nelle regioni costiere densamente popolate, questi effetti minacciano direttamente la sicurezza idrica e alimentare.
Secondo lo studio, l’aumento della salinizzazione dei corsi d’acqua è inevitabile in qualsiasi scenario climatico, ma sarà particolarmente marcato se non si ridurranno drasticamente le emissioni di gas serra (scenario SSP3-7.0). In tale contesto, l’intrusione salina potrebbe diventare un problema cronico, con eventi estremi che si verificano ogni 2 o 3 anni invece che ogni 100 anni come avviene oggi.
Per contrastare il fenomeno, i ricercatori suggeriscono una serie di misure di adattamento, tra cui la raccolta di acqua piovana durante i periodi umidi, il riutilizzo delle acque grigie e l’introduzione di colture più resistenti al sale. Fondamentale sarà anche integrare l’intrusione salina nelle strategie di pianificazione territoriale e di gestione delle risorse idriche, per ridurre i rischi e aumentare la resilienza delle comunità costiere.