Il fiume fatto di rifiuti in Bangladesh
A Dacca, in Bangladesh, un fiume ha smesso di scorrere: al posto dell’acqua ci sono accumuli di rifiuti, scarti tessili delle industrie.
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AA Dacca, in Bangladesh, un fiume ha smesso di scorrere: al posto dell’acqua, accumuli di rifiuti, in gran parte scarti tessili provenienti dalle industrie locali. L’industria della moda veloce, basata su una produzione massiva e a basso costo, ha un impatto devastante sull’ambiente. Secondo l’Agenzia europea dell’ambiente, nel 2020 il consumo di prodotti tessili nell’Unione Europea ha generato 121 milioni di tonnellate di emissioni di gas serra.
Oltre all’inquinamento atmosferico, questa produzione indiscriminata compromette la salute umana e animale. Microfibre e sostanze chimiche nocive si disperdono nelle acque reflue, mentre ogni giorno nella capitale bengalese vengono scaricate circa 4.500 tonnellate di rifiuti solidi, di cui solo il 30% è smaltito correttamente.
Uno degli affluenti del fiume Buriganga si è trasformato in un corso d’acqua irriconoscibile, denso di scarti industriali e altamente tossico. Questo fenomeno non è solo una tragedia ecologica, ma anche una minaccia per le comunità locali costrette a vivere tra acque contaminate e aria irrespirabile. Le normative ambientali inadeguate e scarsamente applicate hanno favorito la proliferazione di fabbriche tessili, attirate da costi di produzione bassi e regolamentazioni permissive.
Il fiume fatto di rifiuti in Bangladesh, cosa è successo?
La gestione inefficiente dei rifiuti ha reso l’acqua inutilizzabile, mentre l’industria tessile continua a essere una delle principali responsabili dell’inquinamento globale. In termini di emissioni di CO2, il settore dell’abbigliamento supera addirittura quello dell’aviazione e della navigazione messe insieme. Nel 2023 il 73% dei vestiti importati dagli Stati Uniti proveniva dall’Asia, con Bangladesh, Cina e Vietnam in testa. Nel 2021 su 52 miliardi di dollari di esportazioni del Bangladesh, ben 44 miliardi erano legati all’abbigliamento.

Il Buriganga, un tempo ricco di vita, oggi è considerato biologicamente morto: le sue acque nere e maleodoranti non ospitano più flora e fauna, e i pescatori hanno dovuto abbandonare il loro lavoro. “Venti anni fa facevamo il bagno nel fiume, c’erano molti pesci“, racconta un ex pescatore a Reuters. “Ora non c’è più nulla“. Secondo il River and Delta Research Center, le analisi delle acque hanno rilevato livelli di inquinamento ben oltre i limiti di sicurezza, con gli scarichi industriali tra i principali responsabili.
Un problema che non riguarda solo il Bangladesh
Le conseguenze di questa emergenza si estendono oltre i confini del Bangladesh, coinvolgendo i consumatori di tutto il mondo. Il sistema di produzione globale riduce i costi di vendita, ma spesso a discapito dell’ambiente e dei lavoratori. Ogni acquisto di capi fast fashion contribuisce a un ciclo di sfruttamento e degrado ambientale che solo scelte più consapevoli possono interrompere.
Nonostante il pessimismo diffuso, però, un cambiamento è possibile. Regolamentazioni più severe, una maggiore responsabilità sociale delle aziende e un approccio consapevole da parte dei consumatori possono contribuire a limitare i danni. Un futuro sostenibile per il settore tessile richiede una trasformazione radicale, prima che altri fiumi seguano il destino del Buriganga.
Foto | Kazi Salahuddin Razu