20 anni fa entrava in vigore il Protocollo di Kyoto. Ha funzionato?
A 20 anni dall’entrata in vigore del Protocollo di Kyoto per contrastare il cambiamento climatico, a che punto siamo?
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IIl 16 febbraio 2005 segnava l’entrata in vigore del Protocollo di Kyoto, un accordo internazionale nato per contrastare il cambiamento climatico. Firmato nel 1997 durante la COP3, il trattato imponeva ai Paesi industrializzati di ridurre le emissioni di gas serra rispetto ai livelli del 1990, con un obiettivo iniziale di almeno il 5% nel primo periodo d’impegno e del 18% nel secondo.
A distanza di vent’anni, però, possiamo dire che il Protocollo abbia raggiunto i suoi obiettivi? I dati dell’UNFCCC, la Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, mostrano che i Paesi aderenti hanno ridotto le loro emissioni del 22% rispetto ai livelli del 1990. Tuttavia, a livello globale, le emissioni sono aumentate e questo, in modo particolare, perché il trattato coinvolgeva solo le nazioni storicamente responsabili dell’inquinamento, lasciando fuori economie emergenti come Cina e India. Nel 2006, ad esempio, la Cina ha superato gli Stati Uniti come maggiore emettitore mondiale, mentre l’India ha raggiunto i livelli dell’Unione Europea.
L’accordo ha comunque avuto un impatto significativo. Per la prima volta la questione climatica è stata affrontata con un linguaggio scientifico condiviso, portando governi, ONG e media a sensibilizzare l’opinione pubblica. Campagne di informazione, documentari e iniziative educative hanno reso il cambiamento climatico un tema centrale nelle agende politiche e sociali.
Uno degli aspetti innovativi del Protocollo è stato l’introduzione dei meccanismi di flessibilità, come il Clean Development Mechanism (CDM) e il Joint Implementation (JI), che permettevano ai Paesi di finanziare progetti di riduzione delle emissioni all’estero. Inoltre, ha gettato le basi per il sistema di scambio delle quote di emissioni (ETS), diventato poi il principale strumento dell’Unione Europea per la regolazione delle emissioni.
Nonostante questi progressi, il Protocollo ha mostrato limiti evidenti. Gli Stati Uniti non lo hanno mai ratificato, riducendone l’efficacia. Inoltre, l’esclusione iniziale di economie emergenti ha fatto sì che le emissioni globali continuassero a salire: tra il 1990 e il 2010, secondo l’IPCC, sono aumentate del 24%. Kyoto, insomma, ha aperto la strada a successivi accordi internazionali, tra cui l’Accordo di Parigi del 2015 da cui gli Stati Uniti di Donald Trump hanno deciso di uscire. A differenza del modello top-down di Kyoto, l’Accordo di Parigi adotta un approccio bottom-up, lasciando ai singoli Paesi la libertà di definire i propri impegni di riduzione delle emissioni (NDC). L’obiettivo principale è mantenere l’aumento della temperatura globale ben al di sotto dei 2°C, cercando di limitare l’incremento a 1,5°C.
Secondo Stefano Caserini, docente di Mitigazione dei cambiamenti climatici al Politecnico di Milano, il Protocollo di Kyoto è stato un passaggio fondamentale nella politica climatica internazionale. “Di fatto è stato il primo momento in cui i grandi emettitori si sono assunti impegni di riduzione delle emissioni. C’era una netta differenza tra industrializzati e non. La Cina aveva un terzo delle emissioni di oggi. È evidente che, da allora, il mondo è cambiato: con la globalizzazione la distanza si è ridotta“, ha dichiarato a Wired.
Con la ratifica dell’Accordo di Parigi nel 2016, l’Unione Europea e altri Paesi hanno rilanciato l’impegno per ridurre le emissioni e contenere gli effetti del cambiamento climatico. Il Protocollo di Kyoto, pur con i suoi limiti, ha svolto un ruolo chiave nel plasmare la politica climatica attuale, dimostrando che un’azione internazionale coordinata è possibile, anche se ancora insufficiente per fermare la crisi climatica.